La psicologia, come giustamente sottolinea Philip Zimbardo, pioniere di fondamentali ricerche di psicologia sociale alla Stanford University in California, non é “scusantologia”, specie quando si inoltra nello studio e comprensione della parte più buia dell’umano.
Tuttavia, nell’incrocio tra natura e sviluppo, tra caso e necessità, si vengono a verificare condizioni particolari che portano alla luce quella paura ancestrale di un male che sembra eludere qualsiasi convinzione, qualsiasi teoria razionale o conoscenza raggiunta fino ad ora. E’ giusto analizzarla, studiarla, perché é necessario prendere provvedimenti di difesa, o ancor meglio di prevenzione. Benché si sia ancora lontanissimi da una prevenzione sistematica e paia ancora lontana, immensamente lontana, la possibilità di riaggiustamenti a condizioni umane aberranti, finché si é in tempo, é giusto continuare a sforzarsi di analizzare per comprendere e quanto più possibile contenere e, nei casi fortunati, prevenire.
Il 12 novembre 1934, l’anno forse più buio della Grande Depressione, al General Hospital di Cincinnati, Ohio, si presenta una ragazza di 16 anni con le doglie del parto e nasce un bimbo. La ragazza é una prostituta, piuttosto prona alle ubriacature, e non ha la più pallida idea di chi possa essere il padre del bimbo. Né ha idea o un particolare interesse a trovargli un nome. Forse, dice la ragazza, il padre potrebbe essere un tale di nome Colonel (il primo nome) Walker Henderson Scott. Ma non ne é per nulla certa, e di certezza non si parlerà mai. Il nome della ragazza é Kathleen Maddox. Così, all’anagrafe locale, il bimbo viene iscritto come “Senza Nome Maddox”, o “No Name Maddox”.
Kathleen intanto si era da pochissimo sposata. Un tale aveva deciso di accettare questa ragazza ormai prossima a partorire. Si trattava di un operaio locale, di nome William Eugene Manson. Finalmente fu scelto un nome per il neonato, e il cognome fu cambiato da Maddox a Manson. Il nome definitivo del bimbo fu Charles Milles Manson.
La ragazza però non fu in grado di essere né madre né moglie. Con il fratello e le amiche andava in giro per giorni a ubriacarsi e procurarsi soldi con furtarelli. Il piccolo Charles passa nelle mani di innumerevoli baby-sitters, e non é dato sapere il livello di attenzione, disattenzione, o peggio che il piccolo Charles possa aver ricevuto in quel periodo. Alla fine il signor Manson perse la pazienza e nel 1937 chiese il divorzio. La donna fu incolpata di grave negligenza dei doveri famigliari.
Nonostante il comportamento irresponsabile di Kathleen, pare che Charles sia rimasto affidato a lei, ma non per molto. Nel 1939, sistematasi con un’amica e il fratello a casa di un conoscente a mezzi, decidono di rapinarlo e fuggire. La fuga dura poche ore, il fratello di Kathleen, Luther, viene condannato a dieci anni di reclusione, Kathleen a cinque.

Durante quel periodo, Charlie finisce in affidamento da uno zio e una zia in West Virginia. Nel 42 Kathleen viene rilasciata su parola, e si riunisce con Charlie, che aveva poco più di sette anni. In seguito, egli ricorderà quel periodo di riunione con la madre come il più felice di tutta la sua esistenza.
Kathleen prende il figlio e si trasferisce a Charleston, in South Carolina. Charlie non va bene a scuola e viene sorpreso a marinarla innumerevoli volte. La madre riprende a bere alcolici e ricade nuovamente nel crimine e viene di nuovo arrestata con l’accusa di furto aggravato, ma non viene imprigionata. Decide quindi di spostarsi di nuovo, e con il piccolo Charles prende casa ad Indianapolis, Indiana. La Maddox decide di iscriversi a un gruppo di Alcolisti Anonimi. Come spesso accade, in quei gruppi dove la gente tende ad aprirsi e impara, o re-impara a rispettare gli altri, Kathleen Maddox incontra un altro ex alcolista e tra loro nasce una storia che termina in matrimonio, nell’agosto del ‘43.

È possibile immaginare che questa nuova condizione non sia stata accettata da Charles, che non solo continua a non presentarsi a scuola, ma prende a rubare sia da casa sua, sia dai negozi locali, dimostrando la persistente incapacità della madre a occuparsi del figlio. Rendendosene conto, decide di cercare personalmente una famiglia affidataria, senza trovarne alcuna che potesse soddisfare le sue richieste. Qualcuno le segnala l’esistenza di una scuola più severa per bambini difficili. Un tempo si sarebbe detto che é il ragazzo è stato mandato in collegio, e il collegio, cattolico, piuttosto duro, si chiama Gibault School for Boys, locato in Terre Haute, Indiana. Charles non apprezza, e appena possibile scappa a casa dalla mamma. E la mamma lo prende per le orecchie e lo riporta nel collegio dai preti del tipo “duro”. A Natale (del ‘47) però viene mandato a passare la festa in famiglia. Mentre sono tutti riuniti per il pranzo di Natale a casa degli zii, Charles, curiosando in giro, trova una pistola, e se ne appropria nascondendola nella sua borsa, ma viene immediatamente scoperto. Rispedito alla scuola Gibault, dopo alcuni mesi scappa nuovamente. Questa volta, però, non torna da sua madre. Vaga per le strade di Indianapolis rubando dove capita per mantenersi, fintantoché non viene colto sul fatto. Questa volta il giudice non prende in considerazione di rispedirlo in collegio, ma in un riformatorio (Boys Town) in Omaha, Nebraska.

Nemmeno lì lo riescono a trattenere, e con un compagno di riformatorio scappa, ruba un’auto e una pistola, rapina un supermercato e un casinò. Il suo compagno ha uno zio in Peoria, Illinois, e là si dirigono. Purtroppo, lo zio é un vecchio ladro di professione, e oltre ad ospitare i due giovani, li sottopone ad un accurato training in furti. Charles però non é fortunato e viene nuovamente arrestato. Charles ha 13 anni.
Questa volta la pena deve essere scontata in un riformatorio-scuola che fa apparire i precedenti dei villaggi vacanze, l’Indiana Boys School. Charles – per sua stessa ammissione in età avanzata – viene sessualmente violentato da alcuni altri compagni di riformatorio, sotto l’incitamento di un membro dello staff del riformatorio stesso. Non vi é sicurezza per gli internati di quel riformatorio, e specialmente per Charles, che é molto magro e molto piccolo. Si inventa un sistema di difesa che lui chiama “insane game”. Essenzialmente fa il pazzo, urlando, emettendo strani suoni, sbracciandosi, distorcendo la sua faccia in ogni sorta di smorfie (abitudine, quest’ultima, che ha continuato a mantenere fino alla morte). Questo convinceva i suoi persecutori che fosse una perdita di tempo accanirsi con un pazzoide. Ma Charles non intende rimanere in quell’inferno. Prova e riprova a fuggire, finché nel 1951, insieme a due altri ragazzi, ci riesce. S’impossessano di una macchina, con l’intenzione di guidare fino in California. Arrivano fino in Utah, rapinando stazioni di servizio per procurarsi la benzina. In Utah vengono arrestati.

Il reato, questa volta, é grave. Viaggiare su una macchina che hai rubato, attraversando confini di stato, é diventato un crimine federale. Finisce in un altro riformatorio, questa volta a Washington D.C., la capitale, e l’assistente sociale che si occupa di Charles lo etichetta come “aggressivamente antisociale”. Uno psichiatra però decide di mandarlo in un altro riformatorio, dove viene messo in lista per una condizione di semi-libertà a partire dal febbraio del 52. Non ci arriva. In gennaio viene colto a cercare di usare violenza sessuale (puntandogli un coltello alla gola) nei confronti di un altro studente del riformatorio. Viene immediatamente trasferito al Riformatorio Federale di Petersburg, Virginia, dove si comporta in modo incontrollato. La sua scheda parla di otto gravi infrazioni disciplinari, di cui tre aggressioni omosessuali. Nemmeno quel luogo appare adatto a mantenerlo sotto controllo, e viene traslocato nel Riformatorio di Massima Sicurezza di Chillicothe, Ohio, ove dovrà rimanere fino al novembre del 1955.
Per motivi che non sono chiari allo scrivente, Charles cambia atteggiamento, e il suo nuovo, impeccabile comportamento gli vale una uscita anticipata, nel maggio del 1954. Si fa ospitare dagli zii, conosce una ragazza e nel gennaio del 1955 la sposa, e la mette incinta.

La vita in un paesino dell’Ohio però gli sta stretta. Ruba un’ennesima auto e con la moglie incinta raggiunge Los Angeles, in California. L’auto é segnalata come rubata, la polizia di Los Angeles lo ferma, e di nuovo il crimine cade sotto la legge federale, avendo guidato attraverso vari confini di stato. Un giudice decide di fargli fare una valutazione psichiatrica, che in qualche modo lo salva da una nuova pena detentiva. Cinque anni, con sospensione condizionale della pena. Deve andare a firmare regolarmente al posto di polizia, ma regolarmente non lo fa. Sparito da Los Angeles, riappare in Florida, cioè dall’altro capo del continente, e viene denunciato per lo stesso tipo di crimine – viaggiare con una macchina rubata attraverso confini di stato. Sparisce dalla Florida e spunta ad Indianapolis, dove viene fermato dalla polizia. La sospensione condizionale della pena viene cancellata, viene trasportato in California dove finisce per tre anni nel carcere di minima sicurezza di Terminal Island, situata nel porto di Los Angeles. Durante il primo anno, la moglie di Charles mette al mondo un bambino, Charles Manson Jr. Con il bimbo, e con la nonna Kathleen, la moglie visita spesso Manson in galera. Nel 57 però la moglie smette di andarlo a visitare. Nonna Kathleen gli dà la notizia: la moglie (si chiama Rosalie Jean Willis), si é trovata un altro uomo.

Notoriamente, per un carcerato, la frattura di una speranza importante per la sopravvivenza all’interno della prigione, e per la vita una volta fuori dalle mura carcerarie, quasi sempre provoca risposte emozionali incontrollate.
Manson smette di comportarsi decentemente e cerca di evadere, poco prima di incontrare il comitato che potrebbe garantirgli un’uscita su parola per buona condotta. La buona condotta slitta al 1958, a settembre. E qui incomincia un periodo curioso, in cui Manson ha occasione di esercitare quel suo certo ascendente sulle donne. Convince una ragazza sedicenne a prostituirsi per lui, e un’altra, di famiglia abbiente, a supportarlo economicamente. Anche questo nuovo modo di vivere dura poco, viene arrestato per sfruttamento della prostituzione e per aver incassato un assegno falso del ministero del Tesoro. Per la ridicola somma di quarantatré dollari, aveva commesso un altro crimine federale.
Ma ecco apparire Leona, una giovane donna ex prostituta che fa una scena madre durante il processo, dicendo di essere pazzamente innamorata di Manson e di volerlo sposare appena fuori. Dice anche che le accuse su di lui sono false. Incredibilmente questo stratagemma funzionò, Manson fu di nuovo rilasciato sulla parola e sposò Leona, avendo Rosalie ottenuto il divorzio durante la permanenza di Manson a Terminal Island.
Il matrimonio però non fu una storia d’amore. Manson si mosse con Leona e un’altra ragazza in Nuovo Messico con l’intenzione di mandarle a prostituirsi. Venne indagato per tale azione, con l’aggravante dell’aver portato le ragazze da un altro stato (il Mann Act contro lo schiavismo e la tratta di persone). Non fu imprigionato ma era chiaro che l’investigazione era solo agli inizi, e quindi decise di sparire nuovamente. L’accusa divenne quindi violazione della libertà sulla parola e del Mann Act. Nel giugno del 1960, a Laredo, Texas, Manson fu arrestato e inviato nuovamente a Los Angeles. Il tribunale di Los Angeles decise anche di fargli scontare la vecchia condanna per aver tentato di incassare un assegno federale falso e fu condannato a dieci anni carcere. Tale pena la dovette però scontare nello stato di Washington, nello United States Penitentiary sull’isola di McNeil.

Questa prigione federale divenne, in quel periodo, il sostituto di un’altro carcere federale, assai più famoso, anch’esso situato su un’isola: Alcatraz. Manson infatti fece amicizia con uno degli ergastolani più famosi del carcere smantellato, Alvin Karpis, detto “Creepy” Karpis.
Karpis era l’ultimo in circolazione dell’epoca dei gangsters della Grande Depressione. Sopravvissuto alla decimazione del klan di Ma’ Barker, di cui era il vero boss (e non Kate “Ma” Barker), Karpis fu l’unico ad essere catturato vivo. Il 1934, l’anno di nascita di Charles Manson, erano caduti sotto i colpi dei federali Bonnie Parker e Clyde Barrow, Charles Arthur “Pretty Boy” Floyd, Lester “Baby Face Nelson” Gillis, John Dillinger, Fred Barker e Kate “Ma’ “ Barker, e diversi altri ancora. Karpis, riuscì a sfuggire fino al 1936.

Karpis era diventato un discreto suonatore di chitarra e Manson, che si sentiva affascinato dal nuovo corso della musica di quegli anni, gli chiese di insegnargli ad usare la chitarra. Sapendo che Karpis, nonostante l’imprigionamento, aveva diverse connessioni a Las Vegas, Manson gli chiese una raccomandazione, che Karpis però non portò mai avanti.
Ma fu il secondo “mentore” che Manson incontrò nel McNeil Penitentiary, colui da cui egli acquisì quelle capacità che si attagliavano alla sua forma mentis, e che contribuirono alla costituzione del Charles Manson che il mondo conobbe negli anni successivi alla sua liberazione.
Lanier “Lafayette” Ramer era un altro prigioniero federale che aveva aderito per anni a Scientology. Era un esperto “auditor”, cioé un amministratore di test che dovevano aiutare altri membri di Scientology a eliminare i loro problemi emotivi e psichici, passando di livello in livello, fino all’ultimo, quello di “clear”, ovvero senza più problemi. Manson ricevette non meno di 150 ore di auditing, raggiungendo il livello 5 (l’ultimo livello é l’ottavo). Manson si sottopose anche a un corso di miglioramento della comunicazione, sempre con il marchio di Scientology (CCH o Control Communication Havingness).
Manson aveva incominciato ad interessarsi al miglioramento delle sue capacità di comunicare già durante il periodo di detenzione a Terminal Island. Si iscrisse a un corso di studio delle teorie di Dale Carnegie, un precursore, insieme a Napoleon Hill, dei coach che hanno prodotto centinaia di libri “self-help” in questi ultimi decenni. In questo caso, alla base del corso vi era il manuale “Come ottenere amici e aver influenza sul prossimo” di Carnegie. La realtà era che Manson non era interessato granché a farsi amici, quanto piuttosto a far uso degli altri per i suoi scopi e le sue necessità, attraverso migliore tecniche di manipolazione. Tony Ortega, giornalista e “grande accusatore” delle truffe e degli illeciti della Chiesa di Scientology, cita il biografo di Manson, Jeff Guinn, in merito alle intenzioni di di Manson:
“Per Manson, la prigione non rappresentava solo sicurezza, ma scuola. Nonostante che non si fosse iscritto a nessuno dei corsi disponibili al McNeil, continuò la sua educazione sempre nello stesso modo. Nel carcere di McNeil era pieno di carcerati ben felici di condividere informazioni su tutta una varietà di soggetti, tra cui magia nera e magia bianca e ipnotismo, tra i vari disponibili. C’era un notevole gruppo di Rinati Cristiani (Born-Again Christians) ansiosi di portare Charlie più vicino a Dio, ma lui ne aveva già avuto più che abbastanza di quelle prediche. Il gruppo che fu in grado di catturare la sua attenzione, fu quello dei membri di Scientology.
[…] Come già aveva fatto con Dale Carnegie, Charlie adottò quegli aspetti dell’insegnamento di Hubbard [fondatore di Scientology, n.d.a.] che si prestavano alla manipolazione degli altri. Si proiettava nel futuro ancora come pappone, non come consigliere spirituale. La maggior parte delle potenziali prostitute hanno una pessima immagine di se stesse. Raccontando ad esse che non dovevano sentirsi andicappate dal passato, che erano spiriti immortali intrappolati temporaneamente nei loro corpi e che erano fondamentalmente buone e in grado di raggiungere qualsiasi cosa: poteva esser una tecnica di ingaggio molto potente. In più, presentandosi come una persona del tutto sincera invece che un un convertito a Scientology con un preciso piano in testa, presentava vantaggi immediati. Gli amministratori delle prigioni erano sempre contenti quando un carcerato abbracciava una fede che incoraggiava una attitudine positiva. Una fede aumentava le possibilità di ottenere la libertà su parola. Come prigioniero relativamente recente al McNeil, Charlie ne aveva un bel po’ prima di poter richiedere la libertà condizionata, ma incominciare a raggirare i valutatori facendo loro credere di essere diventato un devoto seguace di Scientology era un buon primo passo. Un rapporto del 1961 che lo riguarda annota: ‘Pare che abbia sviluppato un certo grado di introspezione riguardo ai suoi problemi, attraverso lo studio [di Scientology]. Manson sta facendo progressi per la prima volta nella sua vita”.
Per coloro affetti da psicopatia, questo sistema di “falso auto-ravvedimento” di solito è gestito con maestria e, ancora ai giorni nostri, efficacemente. Molto difficile risulta smascherare la pantomima esperta di uno psicopatico. Pietro Maso, il criminale che in compagnia di amici uccise in casa sua madre e padre con ferocia inaudita, poco dopo aver iniziato il periodo di detenzione disse di aver incontrato Dio, folgorato sulla strada del regime di semilibertà presso il carcere di Opera, e sulla via di uno sconto di pena. Poco dopo il suo rilascio venne nuovamente fermato per uso di droga (probabilmente per l’incapacità di affrontare la vita in condizioni di libertà), tentata estorsione e gravi minacce alle sue sorelle.
Finalmente, nel giugno del 1966, Manson fu rimandato a Terminal Island, in vista di un possibile rilascio anticipato in libertà condizionata.
Ma Candice Delong, FBI criminal profiler,

annotò che Manson durante l’ultima valutazione per la concessione della libertà su parola, fu colto da un timore esistenziale, e pregò il comitato di non concedergliela, poiché tutte le volte che aveva provato a vivere nel mondo libero in passato, aveva fallito. I membri del comitato però erano convinti che dovesse imparare a prendersi delle responsabilità per conto suo, e imparare a vivere nel rispetto delle leggi e del contratto sociale.
Nei ricordi di un carcerato, di nome Phil Kaufman che lo incontrò in quel periodo, Manson apparve con un carattere del tutto singolare: raccontava, narrava, interpretava con gesti ed espressioni facciali che non potevano non costringere l’uditorio a seguirlo. Citava, come sottolinea il biografo Guinn, frasi di Scientology e passi memorizzati della Bibbia, mostrando però di non essere coinvolto in nessuna religione o chiesa, ma unicamente nella “chiesa di Charlie”.
Ventun marzo, 1967. Manson viene rilasciato dal carcere di Terminal Island ed é di nuovo un uomo libero. Ha 32 anni, di cui più della metà passati in riformatori e prigioni.
C’é un mondo diverso fuori dalle mura carcerarie, e Manson decide di abbracciarlo con tutto il vigore possibile. Il centro di quel mondo si chiama Haight Ashbury, ed é un quartiere di San Francisco. È il centro di quel mondo che si ribella contro la guerra in Viet Nam, che predica amore e pace, e un mondo non ristretto da rigide convenzioni.
E là Manson si darà da fare per mettere in pratica le “lezioni” imparate in prigione. Tutte le lezioni, comprese quelle di chitarra ottenute da Alvin Karpis. Poiché Manson non ha rinunciato al suo sogno di far carriera nel mondo della musica. Ma se il centro del mondo Hippie é a San Francisco, il centro della musica é a Los Angeles. Ma Manson l’istrione sente il bisogno di un suo pubblico anche prima di sfondare come cantautore. E così a Haight Ashbury, dove arrivano ragazzi e ragazze da tutto il continente, incomincia a predicare. Le sue prediche sono “un ibrido in cui sono assemblati insieme canzoni dei Beatles, passi della Bibbia, Scientology, e tecniche comunicative di Dale Carnegie atte a presentare il tutto in modo drammatico”.
“Con la chitarra in mano – talora suonando un pezzo o due di sue canzoni originali – Charlie” scrive Guinn “trovava un posto libero su un marciapiede o in un parco e iniziava a parlare al primo ragazzo o ragazza senza una dimora che incontrava. Predicava sul raggiungere la libertà liberandosi da tutto, possessioni materiali, individualità, il proprio ego. Più ti arrendi e più possiedi. La morte e lo stesso che la vita e nulla é male. La società insisteva che alcune cose erano sbagliate, ma era solo un sistema per confinarti. Uscire dalle proprie inibizioni era importante. Amare tutti. Ma non offriva, essenzialmente, nulla di differente dalle centinaia di altri desiderosi di diventare guru a Haight Ashbury. Charlie, tuttavia, si distingueva per il modo di presentare. Era un oratore provetto, permetteva alla sua voce di abbassarsi in modo che i suoi ascoltatori dovevano sporgersi in avanti per poter sentire, poi ruggiva qualcosa dimodoché fossero costretti ad allontanarsi, quasi cantasse una canzone ritmata, sorridendo e facendo ampi gesti. Intratteneva ed illuminava allo stesso tempo”.
E così, incominciarono ad ascoltarlo, e a seguirlo.
La prima regola per non rischiare di finire avviluppati dai tentacoli di una setta, ammoniva Margaret Singer, una delle più famose studiose di tale fenomeno, é di non ritenersi così furbi e navigati da essere immuni da tale rischio. Tutti gli studi ed esperimenti a riguardo hanno portato verso una risposta univoca: non esiste il tipo di personalità che più facilmente é portato a finire irretito dalle sette, ma piuttosto persone che presentino una costellazione di fattori simultaneamente. Di questi differenti fattori, i due in assoluto più ricorrenti, sono l’essere depressi ed essere in una situazione di limbo, senza lavoro, senza relazioni affettive, senza essere coinvolti in studi o tirocini, in sport o in qualcosa che ci coinvolga. Una terra di nessuno, dove si é abbandonato quello che non funzionava più e senza aver trovato o avere in vista un qualcosa che dia un senso e un verso all’esistenza.
I ragazzi che fuggivano di casa per raggiungere la grande comunità hippie di San Francisco, erano, per la maggior parte, proprio in queste condizioni, erano altamente vulnerabili, e Haight Ashbury, nella famosa “estate dell’amore” del 1967, non era più un posto sicuro. La droga girava a fiumi, e non si trattava più soltanto di cannabis e LSD. Incominciavano a circolare altre sostanze, che invitavano, più che al rilassamento, a sogni vividi e colorati e all’amore verso tutti, a rilasciare impulsi violenti.
Una delle prime che rimase affascinata dal carisma di Manson fu una ragazzina bionda di nome Lynette Fromme, detta “Squeaky”. Lynette sembrava dover intraprendere una vita piuttosto regolare, ma aveva dato segni di grave sbandamento, di incapacità nel venire a contatto con le sue emozioni, che men che meno aveva le capacità di interpretare. Un collega in un negozio in cui lavorava, rammenta che un giorno, senza nessun apparente motivo, incominciò ad osservare una pistola spara graffette, la afferrò con la mano destra e prese a spararsi graffette sull’avambraccio sinistro, dal polso fin oltre la piega del gomito, senza batter ciglio, senza espressione.

In psicopatologia, é affare comune scoprire che adolescenti e post-adolescenti si procurino tagli e mutilazioni, giusto per assicurarsi di essere ancora vivi e di provare almeno un’emozione: il dolore fisico. Quando non é loro insegnato che l’emotività é non solo accettabile, ma necessaria; quando addirittura il contatto con la propria “persona emotiva” viene aspramente criticata, punita, negata, accade che si perda il contatto con se stessi, con il proprio centro emozionale, sostituendolo con un’anestesia di superficie. Questo sistema di sopravvivenza é un placebo, alla lunga destinato a fallire, e ad essere rimpiazzato con qualcos’altro. Lynette Fromme, passò dalla pistola spara graffette alle prediche e all’LSD di Charles Manson. Susan Atkins passò dalla topless dance alle promesse di leggerezza e libertà di Manson. Charles “Tex” Watson passò dal football americano al fittizio senso di potere che Manson gli faceva balenare davanti agli occhi quotidianamente, ma concreto come un miraggio tra le dune del deserto. E così accadde a Patricia Krenwinkle, Leslie Van Houten, Linda Kasabian, e tanti altri. Quella famiglia che il piccolo Charlie non aveva mai posseduto, Charles Manson se la ricostituì a partire dal suo trentatreesimo compleanno. A quell’età Cristo saliva sulla croce. Con qualche anno di più, Manson prese a recitare la parte del Cristo, nella sua tragica passione, tra gli sguardi stralunati dall’LSD dei membri della sua “famiglia”, con tanto di croce sulle spalle e corona di spine.
Ma occorre fare un passo indietro. Charles Manson continuava ad essere convinto delle sue capacità di musicista. E con la sua “famiglia” si spostò da San Francisco a Los Angeles.

Girovagando nei dintorni della metropoli, scoprì un vecchio villaggio western, il set di molti film di quel genre, situato a nord ovest della Valle di San Fernando, la parte nord di Los Angeles. Isolato, in precarie condizioni, là viveva il proprietario del lotto, un uomo di ottant’anni, semi-cieco, di nome George Spahn. Al signor Spahn non parve vero che il ranch potesse d’improvviso popolarsi di un gruppo di giovani e giovanette spensierati e trillanti. In cambio di manodopera e dei servizi amorevoli di Lynette Fromme, che il vecchio scoprì di poter pizzicare e palpeggiare a volontà, incitato dai suoi gridolini (per questo fu soprannominata Squeaky), Spahn cedette volentieri a Manson il controllo del ranch.

Manson mise immediatamente le sue ragazze più sexy al lavoro, come esche sessuali. Servivano ad attirare altri maschi nella “famiglia” e ad aprire canali di relazione con i VIP di Hollywood. Due di loro un giorno si trovarono a fare l’autostop sul Sunset Boulevard. Una lussuosa automobile si fermò per dar loro un passaggio. Il guidatore si chiamava Dennis Wilson, ed era il batterista dei Beach Boys, uno dei complessi più famosi esistenti allora in America. Wilson si portò le due ragazze alla sua villa. Per la sera di quel medesimo giorno, un gran numero di ragazze e altri membri della “famiglia”, Manson compreso, si era trasferita a casa di Wilson.

Per un po’ di tempo Wilson trovò divertente quella vivace sarabanda, specialmente la possibilità di far sesso libero con tutte queste ragazze. Trovava Manson interessante, e perfino fonte di ispirazione intellettuale. Uno svago in un momento di bassa vendita dei dischi del gruppo, con tutta quella concorrenza che si ritrovava in quei gruppi e cantanti che vivevano nel serpeggiante Laurel Canyon, sulle colline di Hollywood (Janis Joplin, Jim Morrison & The Doors, Frank Zappa, Mamas & Papas, David Crosby, Neil Young, Graham Nash, The Eagles, Carole King, Linda Ronstadt e altri). Wilson, oltretutto, era, all’interno del gruppo dei Beach Boys, quello dall’animo più fragile, e talora il capro espiatorio dei problemi del gruppo. Di questo Manson se ne rese conto molto presto, e incominciò a manipolare l’ego dolente del famoso batterista, guadagnando così sempre più potere su di lui. Wilson piano piano si convinse che Manson fosse un piccolo genio della composizione musicale. In particolare si entusiasmò per una canzone composta da Manson, “Cease to Exist”. Wilson la presentò agli altri del suo gruppo, cambiando qualche passo, scegliendovi un titolo diverso, provandola negli studi di registrazione. Alla fine divenne parte di un nuovo disco dei Beach Boys: “20/20” con il titolo “Never Learn Not to Love”. Allora Manson non viveva più a casa di Wilson, poiché questi aveva incominciato ad aver paura di quell’uomo.
Uno dei sintomi di quel disturbo mentale che viene definito come psicopatia, é una forma di narcisismo esasperato, che viene definito maligno. Tale patologia fa spesso commettere errori allo psicopatico. Lo scaltro manipolatore perde il controllo quando percepisce di essere sfidato nel suo potere. Oppure semplicemente sente il bisogno di consolidare il suo potere con azioni di forza, che alla fine si dimostrano come controproducenti. Ad esempio, gli attacchi al pool antimafia della procura di Palermo, culminate con le stragi di Capaci e di Via D’Amelio, portarono allo smantellamento del gruppo di comando dei corleonesi e del capo di Cosa Nostra, nonché mandante delle stragi, Totò Riina.
Quando Manson scoprì che non aveva ricevuto alcun credito per la sua canzone sull’album “20/20”, divenne una furia. Wilson si ritrovò nella buca delle lettere una busta con un proiettile e una lettera minatoria: “so dove abiti, dove abitano i tuoi figli, dove vanno a scuola, eccetera”.
Manson stava per sperperare tutta la fatica e il lavoro che aveva messo in atto per entrare nelle grazie e diventare l’amico insostituibile di Wilson.

Ma perché aveva iniziato tutto quel lavoro di condizionamento? Per poter approfittare gratuitamente di una mega villa hollywoodiana e di tutto quello che offriva gratuitamente? Ormai quella vita era giunta ad un termine e Manson aveva dovuto levare le tende e ritirarsi nuovamente allo Spahn ranch.
Ma Wilson era amico di uno dei più importanti produttori discografici di Hollywood. Costui si chiamava Terry Melcher. Charles Manson era ancora convinto che sarebbe riuscito a sfondare come cantautore. Alla fine Manson ingoiò anche l’affronto del trafugamento della sua canzone, e si produsse in scuse – e probabilmente parecchia droga gratis – con Dennis Wilson.
Alla fine ottenne ciò che aveva tanto desiderato: Melcher decise di invitarlo nei suoi studios per una audizione.
In un primo momento Melcher non apparve scontento della audizione. In effetti, se si può dire qualcosa di positivo di un uomo come Manson, si può affermare che non cantasse male, e che le sue composizioni liriche non fossero di livello inferiore a tante altre di successo in quel periodo. Tuttavia Melcher, dopo averci pensato e ripensato, decise che Manson non fosse giunto a tale livello da incidere un disco.
Molti biografi ritengono questo evento il punto di non ritorno di Charles Manson. Fin da piccolo, Charlie amava cantare. Nei lunghi anni spesi al carcere di McNeil, dopo il corso di chitarra, Manson aveva anche chiesto ad Alvin Karpis di raccomandarlo presso le sue amicizie di Las Vegas, affinché potesse incominciare ad esibirsi in qualche locale. A Terminal Island aveva pregato Kaufman di appoggiarlo presso qualche produttore a Los Angeles, e nessuno dei due si mosse mai. Finalmente, seppur attraverso sistemi parassitici di manipolazione – e in alcuni casi di minaccia – tramite la sua esperienza nell’uso e abuso di giovani donne, e infine grazie alle sue passate pratiche di magnaccia, era riuscito ad aprirsi la porta del castello. Ma da quel castello, purtroppo, era stato immediatamente espulso.
Manson si era convinto di aver le credenziali per diventare più famoso dei Beatles. Ma in quel momento pensò che la sua carriera fosse stata stroncata senza appello.
Non solo, ma aveva dovuto sopportare un trattamento da elemento di secondo piano, nel periodo in cui si accodava al gruppo Wilson-Melcher. Un giorno arrivarono alla villa di Melcher nella esclusiva area collinare di Bel Air. Scesero tutti ma Manson fu invitato ad aspettare in auto.
Tornò quindi allo Spahn Ranch in condizioni mentali pessime, in gergo medico sarebbe stato considerato come un soggetto con alterazioni psichiche pericolose per sé e per gli altri.
Al ranch passò molto tempo isolato dai suoi. Rimuginando e ruminando la sua rabbia, i suoi ricordi, le porte che si erano chiuse sulla sua faccia fin da bambino, e quelle che si erano chiuse dietro di lui, quelle dei riformatori e delle carceri. E nella sua mente distorta, incominciò a dar una forma pseudo razionale alle sue stravaganti teorie politico-sociali: l’Helter-Skelter.
Gli anni 60 non furono solo gli anni del Viet Nam, con relative proteste, e delle richieste dei giovani e del movimento hippie per un mondo più libero e umano. Quel decennio fu soprattutto segnato, negli Stati Uniti, per le lotte razziali. Dalle marce di Martin Luther King in Alabama, alla fondazione del Movimento dei Musulmani Neri di Malcom X, dalla costituzione dell’organizzazione delle Pantere Nere (Black Panthers) da un gruppo studentesco di colore dell’Università di Berkeley, gli afro-americani erano in movimento. E le risposte dei conservatori segregazionisti si fece sentire da subito. Innumerevoli rappresentanti – quasi sempre pacifici – di gruppi per l’emancipazione de neri furono imboscati e brutalmente assassinati, le investigazioni sulle loro morti affossate dalle polizie locali. Dal 63 in poi, con la morte di John Kennedy e la bomba che uccise quattro bambine in una chiesa frequentate da afro-americani, incominciò un clima di violenza. Nel 64 i tre giovani volontari per i diritti dei neri (due ebrei e un afro-americano) vengono assassinati in Mississippi e la loro fine coperta da omertà e addirittura depistaggio delle indagini (il caso denominato “Mississippi Burning”).
Intanto il presidente Johnson riesce a far votare al congresso il Civil Right Act e l’Economic Opportunity Act. Sono importanti azioni legislative per equalizzare i diritti delle minoranze con quelle dei bianchi. La risposta arriva l’anno successivo. Un pacifista viene ucciso senza motivo da un poliziotto in Alabama. Malcom X viene assassinato a Manhattan,
la marcia della pace e dei diritti civili tra Selma e Montgomery (Alabama) viene attaccata dalla polizia locale e i feriti sono tanti. Il Presidente Johnson e il Congresso rispondono con il Voting Rights Act, per eliminare gli ultimi ostacoli messi in atto da amministrazioni locali per bloccare il voto ai negri. Una protesta contro la violenza della Polizia di Los Angeles si trasforma in una gigantesca rivolta dei quartieri poveri a sud della città (Watts Riots). Nel 66, l’anno in cui Manson viene rilasciato dalla prigione in California, vi sono attentati in giro per l’America, sempre contro rappresentanti dei diritti dei neri. I feriti sono molti. E proprio in California i giovani neri incominciano a pensare di rispondere non con la pace e la non violenza del dottor Martin Luther King,
ma con mezzi attivi di risposta. Nasce alla University of California a Berkeley il Black Panther Movement. Continuano attacchi locali in varie zone, mentre a Detroit, dopo che la polizia ha attaccato i partecipanti ad una festa in un locale (che non aveva la licenza in ordine) con una violenza esasperata, festa che era stata organizzata per onorare il ritorno dei veterani neri dal Viet Nam, la popolazione nera della città incomincia una rivolta che terminerà con oltre 43 morti, 470 feriti, 7200 arresti e alcune migliaia di negozi vandalizzati o dati alle fiamme.
A Filadelfia, una manifestazione pacifica di studenti in supporto dei diritti per le minoranze finisce male. La polizia li manganella senza pietà.
Il 68 incomincia male e finisce peggio. Incomincia con l’uccisione di due operai neri della nettezza urbana di Memphis, meno di una settimana dopo, una protesta anti-segregazione nel campus dell’University of South Carolina in Orangeburg viene repressa a fucilate dalla South Carolina Highway Patrol. Tre studenti (neri) morti, 27 feriti, più o meno gravi (Orangeburg Massacre). Un mese e mezzo dopo, Martin Luther King viene assassinato a Memphis, Tennessee.

Nei giorni successivi, in più di 150 città americane esplodono rivolte violente causate dalla morte di MLK. Dopo qualche mese, marce di protesta di afro americani (questa volta assolutamente pacifiche), vengono attaccate da squadracce di picchiatori bianchi. Il sei giugno, a Los Angeles viene abbattuto l’unico bianco che avrebbe potuto portare una risposta concreta e prolungata nel tempo alle popolazioni povere, tra cui quella degli afro-americani, il senatore Robert Kennedy. Alla fine dell’estate, alle Olimpiadi del Messico, gli atleti neri Tommie Smith e John Carlos, invece di ascoltare composti l’inno americano sul podio, alzano il pugno sinistro, in omaggio alla Black Power. Il 69 sarà l’anno delle repressioni della polizia in varie università contro studenti in protesta per i diritti dei neri, contro la guerra in Viet Nam, eccetera.
In questo clima che in alcune zone dell’America si stava avvicinando allo stato di guerra civile, Manson elaborava la sua teoria sociale dell’Helter Skelter (traducibile come “caos”).
La teoria, come tutte le elaborazioni paranoiche e complottiste, aveva una radice che affondava in fatti storici, quei fatti elencati parzialmente in nei precedenti paragrafi. La teoria di Manson prendeva forma nelle sue immaginarie percezioni subliminali. Era convinto di essere riuscito ad interpretare un monito occultato nelle strofe di una canzone dei Beatles, presente su un album uscito l’anno prima, noto come The Beatles White Album. Le parole della canzone, scritte da Paul McCartney, nascondevano un messaggio che però a Charles Manson appariva in tutta la sua chiarezza. Stava per accadere uno scontro totale tra razze, che sarebbe stata vinta dal popolo nero perché più determinati. Durante tale scontro, lui e il suo gruppo sarebbero dovuti rimanere nascosti in un luogo remoto. Ma il paese, forse il mondo, sarebbe finito in un caos totale, poiché i neri, per incapacità, non sarebbero stati in grado di amministrarlo. E questo sarebbe stato il suo momento, il momento in cui Manson e il suo popolo avrebbero preso le redini di questo calesse dai cavalli imbizzarriti. Lui sarebbe stato il nuovo amministratore. Anche il brano “Revolution 9” gli dettava, secondo testimoni, lo stesso messaggio. E la canzone “Sexy Sadie” gli parve raccontare la storia di una delle sue ragazze preferite, perché seguace fedelissima e ente di polizia e controllo sugli altri membri della famiglia, Susan Atkins.
Il “metodo” Manson.
Non sono certo che Manson fosse riuscito a convincere i membri della sua setta – da adesso in poi la chiameremo in questo modo, senza mezzi termini – sulla fondatezza della lotta finale tra la razza bianca e quella nera fin dalla sua prima introduzione presso il gruppo, ma é certo che i suoi seguaci più accaniti e fedeli non si interrogavano sulla veridicità delle parole della loro Guida. Accettavano le sue parole e le ripetevano, e ripetendo a lungo una storia, alla fine diviene una storia vera. Quelli con ancora un barlume di scetticismo eseguivano comunque, perché da qualche tempo la setta usava con sempre più determinazione il controllo, la paura, la minaccia e la coercizione per evitare qualsiasi defezione. Personalmente ho dubbi sul fatto che Manson stesso ne fosse realmente convinto, salvo sotto gli effetti di droghe allucinogene.
Manson, a mio giudizio, voleva principalmente espletare la sua vendetta per essere stato messo, fin dalla nascita, nell’angolo più buio della società. Se desiderava mantenere sotto chiave la mente dei suoi adepti più fanatici, e far loro credere di essere un’emanazione diretta del divino, una reincarnazione del Cristo (e del suo opposto, l’angelo caduto, Lucifero divenuto Satana), poteva rientrare nel “normale” per gli adepti che predicasse come i Beatles, attraverso la registrazione del White Album, avessero sentito il bisogno di rivolgersi a lui, di parlare a lui per mezzo delle loro canzoni.
Charles Manson sapeva di avere influenza sulla gente. Aveva quelle quattro conoscenze tecniche imparate in carcere che era in grado di gestire con la massima professionalità e competenza a lui possibile. Aveva acquisito quell’istrionismo mimico e gestuale che già da ragazzo lo aveva aiutato a bloccare quel bullismo e quella violenza quotidiana di cui era stato oggetto in riformatorio (il suo Insane Game). Fissava i suoi interlocutori dritto negli occhi e non era mai il primo a distogliere lo sguardo. Sapeva farlo con compassione, per dare importanza a chi gli stava davanti, instillandogli autostima, dando a persone che si sentivano come lui rigettate dal mondo l’idea di aver finalmente trovato qualcuno in grado di dar loro comprensione, affetto. Ma provvedeva anche l’illusione di un senso all’assenza di senso, di una direzione senza definirne mai una. Il suo motore interno però non era il bene altrui e il benessere del gruppo, ma quello di esercitare un potere sugli altri, e la sottomissione altrui era il suo nutrimento quotidiano.
Inizialmente le regole del gruppo erano più lasse. Era una vita nomade e di amore libero, spinelli e LSD, carte di credito rubate e soldi incassati, perché “il bene di uno appartiene a tutti”. Con lo stanziamento della setta allo Spahn Ranch, i quotidiani riti pseudo spirituali per il controllo delle menti divennero più insinuanti.
Lo psichiatra e storico Robert Jay Lifton, il quale si occupò dello studio del “lavaggio del cervello” da parte di regimi autoritari e sette, individuò otto sistemi di condizionamento a cui adepti (o sudditi di regime) vengono sottoposti, inizialmente in forma impercettibile, divenendo col tempo sempre più pressanti, invadenti e totalitari:
1) Controllo dell’ambiente e della comunicazione. Lo Spahn Ranch era un luogo pressoché isolato. Pochi membri avevano una patente di guida valida (per questo Linda Kasabian che aveva una patente, fu richiesta di fare da autista nei raid per cui la setta divenne tristemente famosa). Le auto e la benzina erano controllate, i cavalli erano custoditi da un collaboratore del vecchio George Spahn. Non esistevano né orologi, né calendari. Era sempre presente la cosiddetta “pressione di gruppo” e il controllo degli uni sugli altri. Dopo l’episodio della bocciatura di Manson alla audizione musicale presso gli studi di registrazione di Terry Melcher, lo Spahn Ranch e il Barker Ranch situato in un luogo ancor più remoto (la Valle della Morte – Death Valley) dove a fine agosto 1969 la setta si ritirò, i membri di questa vennero sottoposti a una progressiva militarizzazione: comparvero un gran numero di armi, sentinelle armate giorno e notte. Manson controllava la quantità di denaro circolante, concedeva o negava richieste di uscire dal ranch. Ci furono alcune nascite, nell’ambito della setta, e lui decideva il nome che il neonato avrebbe portato.
2) Manipolazione mistica. Spessissimo vi erano riunioni “spirituali” per provare l’assenza totale del proprio “io”, a base di LSD. Manson le conduceva, preparava le razioni di acido lisergico (LSD) e le infilava nella bocca di ciascuno degli adepti, per essere sicuro che ne facessero uso. Preparava una dose anche per sé, ma avendo cura di ingerire un dosaggio bassissimo. Questo dava l’impressione agli altri che egli avesse una capacità sovrumana di controllare gli effetti della droga, una prerogativa che nessun altro sembrava possedere. Controllava anche la droga distribuita in casi particolari, da dare alle ragazze quando era loro richiesto di intrattenere sessualmente gente esterna, come ad esempio bande di motociclisti che talora si fermavano presso il ranch per divertirsi un po’, pagando soprattutto in droga, talora in armi varie.
3) Richiesta di purezza. Certi riti di gruppo non erano negoziabili. Tutti dovevano fare le stesse cose, avere le stesse esperienze. Durante le carneficine di cui si macchiò il gruppo, per suo ordine, tutti i membri della spedizione, tranne chi rimaneva a fare il palo, che era anche l’autista (nello specifico, Linda Kasabian), dovevano “sporcarsi tutti le mani in ugual misura”. A quel punto ormai regnava il terrore, il controllo da parte dei più fanatici, la delazione immediata, e le ritorsioni che Manson faceva trasparire erano terrorizzanti.
4) Confessione. Manson, essendo il “gran saggio” dirimeva questioni e auspicava una trasparenza assoluta. Uguaglianza tra tutti i membri, fratellanza e amore, quindi non vi era nessun bisogno di nascondere nulla a nessuno. Era un modo per liberarsi da qualsiasi peso dell’anima, come ci si era liberati da qualsiasi possedimento. Quelle poche cose tipo auto (rubate) dovevano essere di tutti e di nessuno. Se vi era qualche problema, i servi più fedeli e fanatici davano pseudo-consigli. Se ciò appariva non bastare, richiedevano l’intervento di Manson, che da principio era di supporto positivo, seppur standardizzato su quelle quattro nozioni acquisite in carcere, per divenire col passare del tempo sempre più minaccioso.
5) Scienza sacra. La “filosofia” di Manson aveva alcuni apparenti punti di contatto con quella di base di tutti i gruppi hippie dell’epoca. Uguaglianza con cancellazione delle gerarchie, amore per tutti e con tutti condiviso, rigetto della guerra e della violenza, rigetto della proprietà e delle imposizioni di regole inderogabili nell’ambito delle esperienze della vita, ritorno alla natura e a uno stato naturale dell’umano, in cui le droghe, in particolare quelle allucinogene o tranquillanti/analgesiche avevano una parte fondamentale. Inizialmente chiunque poteva entrare nella famiglia e seguirlo come una guida, per diventare “apostolo”. Poi Manson partorì l’idea della guerra tra le razze che sarebbe dovuta iniziata prestissimo. La capacità critica dei membri non poteva che essere se non da menomata a totalmente inesistente, anche perché, nonostante che le notizie degli avvenimenti potevano dare a Manson una base di realtà, non circolavano giornali liberamente giornali, o radio o televisioni, fino almeno all’ultimo periodo, e Manson commentava e filtrava commenti sia generali che particolari di notizie, “perché i media non raccontavano mai le cose come stavano, e vi davano un’interpretazione distorta e adatta alle orecchie di quelle classi che avevano ostracizzato i membri del gruppo. Il vero veniva dalla bocca di Manson. Il tutto, infine, veniva mantenuto su livelli di comprensione semplici e istintivi, affinché le loro giovani menti potessero venire facilmente intercettate, trattenute, e rimodellate da Charlie Manson.
6) Linguaggio Caricato. In generale suonava come linguaggio hippie, ma con l’aggiunta del fatto che Manson non accettava l’introduzione di concetti verbalmente espressi che potessero anche solo vagamente rischiare di erodere il suo potere di guida spirituale e di amministratore del gruppo. E per il controllo di questo, faceva uso di interrogazioni alla Scientology, che ben poco avevano a che fare con il “movimento della pace e dell’amore”
7) La dottrina prevale sull’individuo. Quel falso “stato naturale” di uguaglianza e trasparenza che Manson predicava, veniva mantenuto con assolutismo. Piano piano i consigli della “guida spirituale” si trasformeranno in voleri, i voleri in ordini. “Charlie ha detto che bisogna fare così”. “Charlie ha detto che devi fare così per il bene tuo e di tutti i membri della famiglia”.
8) Dispensazione dell’esistenza. L’essere tagliati fuori dal mondo, il non aver controllo sulle proprie finanze, talora sul cibo, il non poter decidere dei propri spostamenti e delle proprie amicizie. Il non poter essere né madri né padri in caso di nascita di un bambino (il bambino appartiene alla famiglia allargata, a tutti e a nessuno, cioé alla setta). Addirittura il non poter decidere della propria sessualità (per le donne soprattutto) significa non poter avere un’esistenza propria al di fuori del gruppo. Manson era molto attento nel fare in modo che non si potesse sopravvivere, emotivamente, finanziariamente, al di fuori della “famiglia”. E col tempo, chi potenzialmente fosse stato in grado di farlo, era in qualche modo terrorizzato o ricattato, fino a desistere.
Durante un colloquio con un membro dello staff di accusa al processo che lo porterà a passare il resto della sua vita in cella, appaiono quelle giravolte verbali che – in tempi di libertà anche con l’aiuto di un pizzico di LSD – lo fecero apparire come un uomo dalle conoscenze e dalle capacità superiori ai suoi seguaci:
“Detto tra noi, se il giudice chiederà la mia vita, gliela darò, subito, proprio lì nell’aula di tribunale. Ma prima dovrà udire la mia musica, la musica nelle mie dita, nel mio corpo [Charlie ne fa una dimostrazione: le sue unghie tamburellano un’incredibile ritornello sulla tavola, sulla sedia, sul vetro della cabina, come i passetti frettolosi di una serie di roditori]. Dovrà confrontarsi con tale forza. Forse potrei essere l’uomo più pericoloso al mondo, se volessi diventarlo. Ma non ho mai voluto essere nient’altro che me stesso. Se il giudice dirà morte, sarò morto. Sono sempre stato morto. La morte é la vita”.

“Tutto quello che vedi in me, sei tu. Se vuoi vedere in me un feroce assassino, quello che vedi è quello che sei, lo capisci questo? Se mi vedi come un tuo fratello, questo é ciò che sarò. Tutto dipende da quanto amore possiedi. Io sono te, e nel momento in cui riesci ad ammetterlo, sarai libero. Io non sono che uno specchio”.
Domanda dell’inquirente: “Perché pensi che il popolo dei neri otterrà il potere?”
“Sono stati i primi a possederlo. I faraoni erano neri. Gli Egiziani presero un uomo e lo posero al di sopra di tutto. Lo posero su un trono e lo nutrirono con tutte quelle onde d’energia. [Piega le braccia sul petto alla Tutankamon, tenendo in una mano la matita come fosse il bastone del faraone]. Questo vuol dire potere. Rappresenta il pene, il potere. Hanno costruito le piramidi con quell’energia. Erano tutti in lui. Una tale concentrazione produsse una forza tremenda. L’amore costruisce Piramidi. Focalizzare tutto quell’amore in un sol uomo era come focalizzarlo su se stessi. Manson possiede quel potere. È un segreto che é stato tramandato dal tempo dei Faraoni. Una saggezza segreta.

Gesù conosceva i simboli. Il predicatore e il giudice avevano nozione dei simboli e se li tennero per sé. Il giudice Keene fa uso di quei simboli. Fa un segno tipo “Tagliategli la testa”. Oppure quando mi alzo per parlare, lui fa un segnale a una delle guardie, e d’improvviso un’intero mucchio di persone vengono accolte in aula, e si creerà tutta una confusione in modo che non possano udire quello che sto dicendo. Fanno uso di tutti questi segni massonici per mantenere il potere sugli altri. Così ho incominciato ad usare i simboli. Tutte le volte che vado in aula, o che mi fotografano, uso un altro segno massonico. Come le tre dita, due dita distese. Quando il giudice lo vede, perde il controllo, non dice più nulla. Quando li vedo fare quei segni in aula, gli rispondo. Sono a conoscenza dei simboli del potere ma non sono in grado di comprenderli. Il potere, senza amore, é aggressione. Non vi é mai più stato amore vero dai tempi dei faraoni. Con l’eccezione di J.C. [Jesus Christ]. Lui sapeva cosa significasse amore.
“Se non credi nelle parole, perché ne usi così tante? Le parole sono simboli, tutto quello che faccio é accatastarle dentro la tua testa. Tutto é simbolico. I simboli sono le connessioni nel tuo cervello. Anche il tuo corpo é un simbolo.
Domanda dell’inquirente: “Come puoi amare e nello stesso tempo minacciare una persona?” “Chi ho minacciato?” “Hai spedito un proiettile a Dennis Wilson [il batterista dei Beach Boys]” “Avevo una tasca piena di proiettili, così glie ne ho dato uno.” “Quindi non é stata una minaccia?” “Questa é paranoia. È la sua paranoia che ha generato l’idea che fosse una minaccia. Se tu mi regali un proiettile, me lo appendo al collo per mostrare l’amore che mi porti. Tutto ciò che vorrei fare a Dennis e dargli amore. Di solito gli dicevo: Dennis, osserva questo fiore. Non pensi che sia bello? E lui rispondeva: Guarda, devo proprio andare. Doveva sempre andare da qualche parte ad occuparsi di qualcosa di importante. Alla fine quello che significava era che non poteva accettare il mio amore. Io lo amo come amo me stesso. Non rifiuto nulla e non chiedo nulla. Tutto mi scorre attraverso.

Anche la Bibbia insegna la sottomissione. Le donne vi sono state messe per servire gli uomini, ma solo perché sono dieci volte più ricettive, più percettive degli uomini. Il servo é sempre più saggio del padrone.
Domanda dell’inquirente: “Perché, secondo te, Susan Atkins fece quella confessione?”
“Susan é una ragazza molto consapevole. Credo che sia stata la sua anima a farlo. Credo che la sua anima abbia agito su di lei fino al punto di farla. Personalmente sono convinto che lo ha fatto per costringermi nella posizione in cui mi trovo ora, in modo che altri possano vedere a che punto sono. Ma sai chi finirà con l’essere sacrificata? Lei. Sta per cambiare la testimonianza. Dirà che si trovava lì, ma che non ne sapeva nulla. Pure se non ci fosse stata, lo dirà lo stesso”.
Domanda dell’inquirente: “Pensi che fosse presente?”
No. Non penso che ci fosse. Ma si auto-condannerà costretta dal senso di colpa per quello che [mi ha] fatto. Quello di cui non si rende conto é che non sarebbe in grado di danneggiarmi in ogni caso”.
Sono esempi del suo pasticciato filosofare, del suo gesticolare e recitare, del suo narcisismo patologico, segno di psicopatia, della sua capacità di impacchettare in falsi sentimenti minacce mortali, del suo potere sulle ragazze della setta. Susan Atkins – saltando un poco in avanti con gli eventi – aveva provveduto ad una lunga confessione, e Manson sapeva che avrebbe ancora avuto abbastanza potere da fargliela rimangiare. Le sue elucubrazioni, il suo saltare di palo in frasca, poteva talora assomigliare a quell’insalata di parole o di concetti che escono da persone affette da bipolarismo, durante la fase psicotica maniacale. Ma contrariamente a questi soggetti, Manson scandiva le parole, controllava il volume della voce e i brevi silenzi, sottolineava con gestualità e mimica ciò che proferiva, e anche ciò che non aveva nessun senso, aveva il valore di confondere l’interlocutore, di dargli un senso di vertigine nel faticare a star dietro alle sue strampalate metafore, alle sue grossolane o pazzesche analogie. Questo sistema di colloquio non fu mai abbandonato da Manson, nemmeno nelle interviste rilasciate in tarda età o nelle lettere scritte in carcere (Manson fu per decenni il carcerato degli Stati Uniti che riceveva più lettere, e da tutto il mondo).
La villa di Terry Melcher, il produttore discografico, si trovava su questo contrafforte roccioso, con vista sul ricco Benedict Canyon, al fondo di una strada di nome Cielo Drive. La villa era stata abitata da famosi.

Negli anni 50 vi si trasferì Cary Grant, che quando decise di traslocare cedette l’abitazione a Henry Fonda. Negli anni 60 fu acquistato dalla mamma di Terry Melcher, Doris Day, che a sua volta la diede al figlio Terry e alla sua fidanzata, Candice Bergen.

Verso la fine dell’inverno del 1969, Terry Melcher decise di traslocare. I nuovi affittuari erano i coniugi Polanski, Roman Polanski e Sharon Tate.
Dopo l’audizione concessa a Manson per intercessione di Dennis Wilson dei Beach Boys, Melcher aveva risposto in maniera ambigua, un “vedremo” alla richiesta di Manson di visitarlo al Ranch portandosi dietro un contratto per la produzione di un disco. Melcher non vi andò mai. Manson salì sulle colline, fino alla villa di Cielo Drive. Ma Melcher non vi abitava più. Chi aprì la porta a Manson era un caro amico polacco di Roman Polanski, un giovane che sperava di poter sfondare nel cinema come l’amico. Si chiamava Voytek Frykowski.
Questo particolare é importante perché elimina l’opzione, sostenuta per lungo tempo, che il raid nella villa di Cielo Drive fosse una vendetta, e che il vero bersaglio fosse Terry Melcher.
Manson decide di usare i membri della setta per incrementare il movimento di droga, acquisizione di armi e auto rubate, in particolare di Dune Buggy, una sua passione.
Charles “Tex” Watson, ex studente modello e promessa del football americano, divenuto parte del “gruppo dirigente” della setta, si attivò per mettere in atto una truffa che doveva portar denaro alle casse della setta. Alcune fonti la fanno passare per una sua iniziativa personale, ma è assai difficile che vi fossero iniziative di tal genere senza il beneplacito di Manson. Watson finse di avere da vendere venticinque chili di marijuana a un noto spacciatore nero di nome Bernard “Lotsapoppa” Crowe.

Watson si recò a casa sua, arraffò venticinquemila dollari e fuggì. Crowe passò immediatamente alle minacce, richiedendo i soldi indietro. Questa volta, a casa di Crowe si presentò Manson in persona, non per restituirgli i soldi ma per sparargli e ucciderlo. Manson ritenne di averlo ammazzato, ma Crowe si salvò, e minacciò orribili rappresaglie, dicendo di essere anche membro delle Pantere Nere, affermazione non vera. Manson però si preoccupò seriamente. Anche questo evento lo portò ad acquisire sempre più armi e il Ranch venne tenuto sotto stretto controllo armato, giorno e notte. Le spese aumentarono. La tensione aumentò. Errori, sviste, e cantonate pure. La tensione si trasformò in regime paranoide, sospettoso, e, alla fine, di terrore.
Dallo Spahn Ranch é facile raggiungere quella lunga strada chiamata Topanga Canyon Drive, che raggiunge la costa nella area di Malibu. Sulle aree collinari pre-costali, viveva un professore di musica di nome Gary Hinman.

Sapeva suonare molti strumenti, ma il suo preferito era la cornamusa. La sua debolezza, come spesso accadeva in quei tempi, erano le droghe allucinogene. La usava, la comprava e la vendeva. Era divenuto anche fornitore della setta di Manson, il quale la divideva con i visitatori del ranch, in particolare la setta di motociclisti chiamata “Straight Satans”. Ma l’ultima partita, si trattava di mescalina, pare fosse di pessima qualità. I “bikers” della Straight Satans se la presero con Manson, il quale decise di farsi ridare i soldi della mescalina da HInman. Spedì un trio di membri della setta per riscuotere, formato da un uomo di nome Bobby Beausoleil e di due donne, Mary Brunner e Susan Atkins. Hinman non aveva più contanti. Dopo avergli chiesto il rimborso con le buone, incominciano le botte e le torture. Ore e ore di torture. Ma se i soldi non ci sono, le torture non li fanno germogliare. Beausoleil incomincia a sentirsi perplesso. Lui aveva acquistato la mescalina cattiva, lui sperava di riaggiustare la situazione. Telefona al Ranch. Manson prende un’auto e arriva alla villa di Hinman. Ha con se una lunga baionetta che ha pignolamente affilato. Sorride a Hinman, e con un fendente gli stacca un orecchio. Ordina a Hinman di fare una voltura scritta di tutto ciò che possiede, che sono la villetta e due auto.

Beausoleil chiede a Manson che si può fare a quel punto di HInman, che sta sanguinando copiosamente. Manson mentre si avvia alla soglia, risponde “Fai quello che ritieni debba essere fatto”. Beausoleil spara a Hinman, uccidendolo. Susan Atkins, prima di uscire, scrive su un muro “Political Piggy” e a mo’ di firma lascia il segno di una zampa, la firma delle “Black Panther”, il movimento armato dei neri. Helter Skelter, incomincia qui, in questa casetta nel canyon, il 25 luglio 1969, il giorno dopo il ritorno degli astronauti Amstrong, Aldrin e Collins da quella missione che portò due di loro a fare quattro passi sulla Luna. Come Adolf Hitler (mutatis mutandis) non diede mai un ordine specifico di sterminare gli ebrei d’Europa, così Manson mai disse “andate e uccidete costui o costei”. Gli scherani di entrambi, tuttavia, non ebbero dubbi sul pensiero e sui desideri dei loro rispettivi capi.
Il gruppo si porta dietro entrambe le auto di proprietà di Hinman, auto che non porteranno fortuna alla setta. Beausoleil verrà arrestato il 6 agosto alla guida di una delle due auto. Gli troveranno anche un coltello sporco con il sangue di Hinman. Beausoleil sarà anche il primo della setta ad essere processato. Fu condannato prima a morte poi all’ergastolo, senza possibilità di uscire per buona condotta.
Fu affermato – non sono certo se in seguito Manson sostenne tale tesi – che il precipitare degli eventi fosse stata la conseguenza del fatto che la ribellione dei neri d’America segnasse il passo, invece di esplodere in guerra aperta, come la teoria di Manson prevedeva. Le azioni che intraprese furono di conseguenza una “spinta” per far precipitare gli eventi.
Manson percepiva che stava prendendo forma l’ennesima sconfitta della sua esistenza. Una sconfitta che sarebbe stata dura se non impossibile da rimontare. Poniamo che vi fosse l’intromissione del delirio della guerra totale tra bianchi e neri, ma il suo era odio per quella sua vita in cui non aveva avuto che rifiuti, rigetti, esclusioni. Sua madre non lo voleva. Un giorno, già mezza ubriaca scambiò per un boccalone di birra il cesto dove stava Charlie infante, dandolo ad una conoscente occasionale che piagnucolava per non essere mai riuscita a rimanere incinta. Fu rigettato dai compagni delle elementari mentre la madre a casa ormai non tornava se non sporadicamente. Fu rigettato dalla madre per le sue prime difficoltà comportamentali, e poi perseguitato dai compagni di riformatorio. Ma un soggetto affetto da psicopatia non rivolge l’odio su di se. Crea l’inferno intorno a sé.
“Do something witchy”. Fate qualcosa di…? Difficile a tradursi: qualcosa di stregonesco, di maligno, di tremendo fino al soprannaturale. Questo fu l’ordine di Manson, la sera del nove agosto 1969. Partirono in quattro per Benedict Canyon. Tre ragazze e un ragazzo. Si chiamavano Charles “Tex” Watson, Susan Atkins (rinominata da Manson Sadie Glutz), Patricia “Katie” Krenwinkel, e Linda Kasabian. Raggiunsero il buio che circondava il cancello della tenuta al 10055 di Cielo Drive.
La mattina successiva la donna delle pulizie entrò nel parco. Subito dopo il cancello vi era un auto ferma con il cadavere di un ragazzo senza più il volto. Tex Watson gli aveva sparato quattro volte in faccia. La donna chiese aiuto. Fu chiamata la polizia, prima un’auto, poi una decina almeno. Cinque ambulanze.
Arrivò anche il medico legale, il coroner della Contea di Los Angeles Thomas Noguchi.

Non era un medico legale qualsiasi, ma il principe dei medici legali, da quel giorno del 63 in cui, assistente giovane dell’istituto, si trovo da solo a dover eseguire l’autopsia di Marilyn Monroe. Un anno prima di varcare i cancelli di Cielo Drive, aveva dovuto anche occuparsi del corpo di Robert Kennedy.
Il ragazzo in auto dicevano che fosse la persona sbagliata nel posto sbagliato. In realtà tutte le vittime della setta, di quella notte e di quella successiva, erano nel posto sbagliato al momento sbagliato. Il giovane era andato a trovare un amico che viveva in un piccolo cottage in un’area della tenuta, il quale si occupava del mantenimento del parco della villa e della villa stessa. Stava andando via con l’auto quando i suoi fari illuminarono Tex Watson. Il suo nome era Steven Parent.

Un primo corpo era riverso sul prato. Era Voytek Frykowski. Due proiettili in corpo, colpito alla testa con un corpo contundente (il calcio di una pistola) 13 volte, pugnalato con coltelli differenti 51 volte. Più in là si trovava il corpo della sua fidanzata, Abigail Folger, l’ereditiera dell’impero del caffé Folger.

Solo dopo che il corpo fu accuratamente esaminato in sala settoria si comprese che la sottoveste che indossava non era rossa con orlo bianco ma, fino alla sera precedente, completamente bianca. Era stata accoltellata da lame differenti 28 volte. Nella sala principale della villa, davanti al divano si trovavano distesi i corpi di Sharon Tate, incinta di otto mesi e mezzo, e del suo ex fidanzato e amico di Polanski Jay Sebring, coiffeur di dive e divi famosi. Uomo veramente creativo, acconciava le capigliature di Warren Beatty, Steve McQeen, Frank Sinatra. Kirk Douglas lo chiamò per farsi fare il taglio che esibì nel film di Kubrick “Spartacus”.

Sharon Tate aveva appena iniziato la carriera. Era, oltre ad essere di una bellezza non comune, una ragazza piuttosto umile, con un carattere gentile che aveva conquistato Polanski. La testa e il corpo di Sharon Tate erano invischiati in una lunga corda che era stata lanciata su una trave che attraversava il soffitto, e ricadeva di nuovo a terra, il suo tratto finale legato al collo di Sebring, la cui testa era infilata in una federa.
La Tate presentava 16 ferite da coltello, moltissime sulla pancia dove portava il bambino. Sebring presentava una ferita d’arma da fuoco, il massiccio facciale fracassato a calci con la quasi fuoriuscita di un bulbo oculare e sette ferite da coltello. Fu il primo che il gruppo della setta incontrò e il primo a morire. Sulla porta d’entrata della villa, intingendo un panno nel sangue di Sharon Tate, Susan Atkins aveva scritto “Pig”.
In seguito, Watson confessò che lui e altri avevano ingerito droghe prima di entrare in azione, in particolare speed (amfetamine condite con altri psicostimolanti), e che gli parve di essere in stato di trance per tutto il tempo. Ciò non gli impedì di arrampicarsi con agilità su un palo delle linee telefoniche situato a fianco del cancello della villa, e tagliare i cavi. È possibile che queste droghe avessero reso Patricia Krenwinkel incapace di fermare il braccio che continuava ad alzarsi e scendere per colpire Abigail Folger distesa sul prato, mentre le sussurrava “Stop..I’m already dead” “Fermati…sono già morta”. È anche possibile che la sensitività emotiva, l’amore infinito che predicava Manson, fosse stata azzerata in Susan “Sadie” Atkins, quando Sharon Tate la supplicò rantolando di risparmiare il suo bambino e di tagliarle la pancia e farlo nascere, o di lasciarla vivere perché potesse partorire il bambino e venirla ad uccidere dopo, e la ragazza le rispose “I have no merci for you, bitch!” “Non ho pietà per te, stronza!”.

Questo avrebbe potuto essere un’opzione, certo non una scusante, per la furia omicida del gruppo nei confronti di perfetti sconosciuti. Tuttavia, interrogazioni preliminari e processi dimostrarono che la droga non aveva trasformato il carattere e la personalità degli assassini, ma solo spinto ad esprimere quella rabbia di esclusi che Manson aveva captato, accarezzato con le sue teorie intricate in un nulla cosmico, la vita é morte, la morte é vita, e si era prodigato per coltivarlo quotidianamente, affinché il senso di “amore universale” potesse divenire solo sottomissione a Manson e odio per se stessi e tutto il resto dell’umanità, quella che stava là fuori dal Ranch, oltre le colline con bassi arbusti seccati dal sole e le rocce dei deserti, alle polveri di terriccio e sabbia portate dai venti caldi che riempivano gli spazi tra le vecchie assi di legno del villaggio western.

In compagnia di Tex Watson, Patricia Krenwinkel, Leslie van Houten, Linda Kasabian, Susan Atkins e Steve “Clem” Grogan, tutti schiacciati in una grossa auto, si mise a girovagare qua e là finché gli si accese una lampadina. Il suo vecchio compagno di prigione Phil Kaufman aveva affittato per diverso tempo una casa in compagnia di un tale amico di Dennis Watson e Terry Melcher in un’area di Los Angeles che si trova sotto le colline del Griffith Park (dove si trova la scritta Hollywood) e la parte più popolare di Hollywood. Adorna di collinette e strade contorte, vi erano molte ville di una classe media benestante, alcuni molto benestanti, pur rimanendo incomparabilmente lontani dalle possibilità dei Mida di Hollywood, Beverly Hills, Bel Air.
Manson conosceva bene quella casa, i suoi amici lo avevano invitato a molti party in passato. La sua intenzione era di muoversi in un terreno conosciuto, prendendo di mira i nuovi occupanti.
Si infilarono nella villa facilmente. Troppo facilmente. Difatti la villa era ancora vuota, senza inquilini. Non vi era più tempo di ricominciare a girovagare per la città. Saltarono il muro di divisione e si infilarono nella villa vicina. Era di proprietà dei signori Leno e Rosemary Labianca. Erano in casa, appena tornati da una vacanza.

Manson ordinò alle ragazze di tornare in auto. Armato di pistola entrò insieme a Watson nella casa dei Labianca.
Leno era dirigente in una catena di supermercati, ed era sposato ad una donna molto bella, sulla quarantina, che lui chiamava Ros.
Manson uscì dopo un po’ e scese il giardino in discesa verso la macchina con il resto del gruppo. A bassa voce spiegò loro che i coniugi si trovavano con le mani legate dietro la schiena e seduti sul sofà davanti alla TV. “Andate e fate quello che va fatto, e che sia qualcosa di raccapricciante [gruesome]”. Disse che se ne sarebbe andato subito con la macchina, e che loro avrebbero dovuto arrangiarsi a tornare allo Spahn Ranch in autostop. Patricia Krenwinkel e Leslie van Houten scesero dall’auto armate di coltelli.
Manson non intendeva tornare direttamente al Ranch. Voleva un altro omicidio in un’altra zona della metropoli. Linda Kasabian, sempre lei come autista ufficiale, infilò uno dei lunghi boulevard che attraversano la città in direzione est-ovest, e raggiunse la costa pacifica a Venice Beach. Linda aveva raccontato di conoscere un attore a Venice Beach, e Manson decise che sarebbe dovuto essere la prossima vittima, poiché anche lui era un classico rappresentante di quell’establishment che li aveva costretti ai margini della società, loro come le altre minoranze oppresse. Era un altro “pig”.
Linda era terrorizzata. Era l’ultima arrivata nel gruppo ed era controllata a vista da tutti gli altri. Giunti tra le stradine di Venice, Linda scende dall’auto, sale la scaletta di una villetta e bussa, ben sapendo che quella non é la casa dell’amico attore. Esce un tale, scambio di frasi, ad alta voce, il tale non é la persona giusta. Rumori, vociare, troppo rischio. La porta si richiude. Susan Atkins sente di dover rilasciare la tensione defecando sulla scaletta d’ingresso. Manson decide di tornare al ranch.
Le due stragi non vennero messe in correlazione per lungo tempo da parte degli investigatori della Polizia di Los Angeles. Siccome molta marijuana e LSD erano stati rinvenuti nella casa dei Polanski, il pregiudizio benpensante sul mondo dello spettacolo prese il sopravvento. Sharon Tate e i suoi amici stavano facendo sesso di gruppo dopo essersi drogati, usanza tipica di quel “certo” ambiente. Probabilmente non avevano pagato il giusto prezzo i loro fornitori di droga, e quelli si sono vendicati. E l’omicidio di una coppia di onesti lavoratori della classe medio alta (i La Bianca) é stato perpetrato da altri balordi eccitati dalla stampa di quello stesso giorno, con l’intento di copiare l’efferatezza dell’omicidio a Bel Air, dopo averli rapinati.
Perfino Roman Polanski, giunto – in stato di semi incoscienza per il trauma – da Londra dove stava girando un film, fu messo sotto il torchio dagli inquirenti, i quali sospettavano che non fosse estraneo alla storia della droga.

Polanski, con la voce rotta dal dolore, si costrinse ad una conferenza stampa per difendere la moglie, ripetendo senza mezzi termini che sua moglie non fumava, non prendeva droga, non beveva poiché intendeva portare avanti la sua gravidanza senza rischi.
Il coroner Noguchi non trovò segni o bruciature da corda intorno al collo di Jay Sebring e Sharon Tate, e quindi si convinse che la corda che li univa passando per la trave del soffitto fosse più una scenografia che un concreto tentativo di impiccare le due vittime, usando una come contrappeso da forca per l’altro.

E l’omicidio Labianca? Rosmary era stata trovata seminuda – camicia da notte rivoltata verso l’alto – con una federa sulla testa e il filo elettrico di una lampada intorno al collo. 41 pugnalate. Sulla pancia di Leno fu incisa, con la punta di un coltello, la parola WAR (guerra). La Krenwinkel aveva trovato una forchettina a due rebbi con il manico d’avorio con cui inforcò quattordici volte il corpo di Leno, lasciandola poi piantata nella sua pancia. Un coltello da bistecca fu conficcato nel collo dell’uomo. Krenwinkel, come già aveva fatto la Atkins nella casa di Cielo Drive, intinse un panno nel sangue della coppia e scrisse sui muri “Rise” (“sollevatevi”), Death to Pigs (“Morte ai Porci”). Sul frigorifero scrisse, con un errore, Healter Skelter, invece di Helter, sempre sperando di poter dirigere le investigazioni verso le Black Panther.

Leslie van Houten era in stato confusionale a causa delle urla di Rosmary che provenivano dalla camera da letto, mentre la Krenwinkel la attaccava con il coltello. Watson la strattona: “Vai e colpiscila anche tu. Charlie ha detto che tutti devono sporcarsi le mani”. Watson le passa un coltello. Leslie si reca in camera, s’inginocchia sul corpo della donna e la pugnala una quindicina di volte, ma Rosmary era già morta per i fendenti della Kasabian. In alcune interviste della prigione, la van Houten rammentò l’orrore che non smise mai di svegliarla nel terrore, nei decenni di solitudine della sua cella: il suono del suo coltello che cozzava contro le ossa della colonna e del bacino di Rosmary Labianca.
I due cadaveri furono scoperti dal figlio quindicenne (da precedenti nozze) di Leno, e dal ragazzo della sua sorella maggiore.
Lordati dagli schizzi di sangue, i tre decisero di spogliarsi e farsi insieme una doccia nel bagno dei Labianca, poi si riasciugarono. Un leggero languore salì dallo stomaco di una delle ragazze. Diedero un’occhiata al frigorifero sulla cui porta già spiccava la scritta di sangue Healter Skelter. Trovarono un’anguria e la gustarono ridendo e scherzando, gettando poi le scorze nel lavandino di cucina. Poi se ne uscirono alla ricerca di un passaggio in auto, seguendo le istruzioni di Manson. Curiosamente, a nessuno venne in mente di usare i soldi che Rosemary Labianca aveva offerto loro, credendo si trattasse di una rapina, e chiamare un taxi che da una qualche zona appena lontana dalla villa. Aspettarono che qualcuno li caricasse fino a un certo luogo, poi un altro che li portò abbastanza vicino al Ranch da poterlo raggiungere con una buona camminata nel fresco delle prime luci del mattino. Gli ordini sono ordini.
Sei giorni dopo, il 16 agosto, gli inquilini dello Spahn Ranch furono svegliati dall’arrivo di auto ed elicotteri del Los Angeles County Sheriff. Vicino a New York, dall’altro capo del continente, il giorno prima era iniziato il concerto di Woodstock. Erano lì per dare una botta finale al giro di auto rubate. Nessuna connessione con le stragi. Trovarono anche armi e droga. I giovani furono raccolti nella main street del villaggio western, molti click metallici di manette serrate ai polsi. Caricati sulle auto dei vicesceriffi, ricevettero un passaggio fino agli uffici della Corte Superiore di Los Angeles, dove un giudice si rese conto che i mandati di arresto erano stati compilati sbagliando le date. Furono tutti rilasciati.
Ritornati al Ranch, Manson incominciò a torchiare il suo gruppo per individuare lo “snich”, la spia che aveva portato i poliziotti al Ranch.
Tra i lavoranti che accudivano il Ranch sotto la direzione del vecchio George Spahn c’era un ragazzo che aveva fatto lo stunt in alcune produzioni e amava i cavalli. E appunto dei cavalli del ranch si occupava. Si chiamava Donald Shea, detto “Shorty”. Quando l’allegra compagnia di Manson, con le sue scatenate ragazze, giunse al ranch, Shea ritenne che sarebbe stato, oltre che un piacevole diversivo, un ulteriore aiuto per la manutenzione del ranch con le sue case da Far West. Ma ormai da mesi aveva imparato a temere quel gruppo e voleva convincere George Spahn a cacciarli.

Manson non voleva correre altri rischi, e diede l’ordine. Tre uomini del gruppo, Tex Watson, Steve “Clem” Grogan e Bruce Davis gli chiesero un passaggio per andare a recuperare dei ricambi auto che avevano accumulato in un area remota e isolata del ranch. Shea guidava mentre Watson gli era di fianco. Davis gli stava dietro con Grogan. Appena fermi, Davis lo colpì violentemente con una chiave a tubo sulla nuca. Contemporaneamente Tex Watson lo colpì con il suo coltello. Lo trascinarono fuori dalla macchina e lo portarono su una collinetta dove lo torturarono a lungo. Pare che ad un certo punto sia giunto anche Manson con un machete. Manson passò il machete a Davis. “Fai quello che bisogna fare”. Davis non sapeva come usare il machete e Manson tirò fuori una lunga baionetta, forse la stessa che aveva tagliato l’orecchio al professore di musica Gary Hinman. La diede a Davis, che colpì Shea con un profondo fendente all’ascella destra.

Durante i preliminari al processo, davanti al Gran Jury, una ragazza della setta, Barbara Hoyt raccontò che, nonostante la distanza, poté udire le urla infinite di Shea mentre lo torturavano. Terrorizzata, riuscì ad evadere i controlli e a fuggire dal ranch.
I resti del corpo di Donald “Shorty” Shea furono ritrovati solo nel dicembre del 1977.
Manson decise che lo Spahn Ranch non era più sicuro. Una ragazza aveva parlato dell’esistenza di un altro ranch, di proprietà della sua famiglia, localizzato in una zona sperduta all’interno del Parco Nazionale della Valle della Morte (Death Valley National Park), il Barker Ranch. Organizzato il lungo convoglio di automobili, la setta attraversa i deserti fino a quelle baracche costruite in mezzo al nulla avvolto di polvere e caldo infernale.
Manson e i suoi si preparano alla guerra. Per gli adepti della setta é l’Helter Skelter, la guerra totale delle razze. Per Manson, non é certo. Fuori dalla cerchia dei suoi fedeli, ha più amici che nemici. Compra armi, e arma le dune buggy rubate come apparve in seguito in film “apocalittici” tipo Mad Max. Questa corsa agli armamenti non rimane inosservata.

La California Highway Patrol e lo sceriffo della Contea di Inyo raggiungono il Barker ranch e arrestano tutti, compreso Manson che viene rinchiuso nelle prigioni dello sceriffo della contea. Ci saranno incursioni continue di polizia, tra l’8 e il 12 ottobre.
Mentre le investigazioni delle varie polizie continuano separate e su piste totalmente errate (vendetta di spacciatori a Cielo Drive, rapina finita male a Los Feliz, non correlate tra loro), almeno due teste dissentono con la polizia e la stampa ufficiale. Il coroner, Thomas Noguchi vede un metodo comune nel modo in cui le due carneficine sono state attuate. Sa che di solito gli omicidi rituali si susseguono in uno stretto lasso di tempo. L’incaricato delle indagini, il sostituto procuratore della Contea di Los Angeles Vincent Bugliosi, scopre che le scene degli omicidi che si somigliano non sono due, ma tre. Un professore di musica che abitava in Topanga Canyon é stato torturato e ucciso in casa sua in luglio e la scena del crimine assomiglia inequivocabilmente alle altre due.
L’enorme risalto che giornali e TV hanno regalato agli avvenimenti producono una risposta di paura nella popolazione. In quartieri dove il crimine é sempre stato praticamente inesistente, d’improvviso le persone vengono maciullate in casa, senza nessun motivo. Una condizione di paura che solo negli anni 80 si ripresenterà, con i raid omicidi e di selvaggia ferocia del serial killer divenuto noto come The Night Stalker (Richard Ramirez). Intanto però passano le settimane, senza nessun progresso.
Anche prendendo le vie sbagliate, la polizia, sotto pressione, si muove ovunque. Qualcuno collega (un membro della gang motociclistica Straight Satans) il nome di una “certa” Susan Atkins alla tragica fine di Gary Hinman in Topanga Canyon Drive. La Atkins viene prelevata dal gruppo arrestato al Barker Ranch e portata in un’altra prigione.

Come Manson, Susan Atkins é soggetta a psicopatia, una disturbo grave della personalità, e gli psicopatici spesso soccombono ai sintomi del loro disturbo principale, il cosiddetto “narcisismo maligno”. Una compagna di cella commenta quei tremendi omicidi, e Susan non resiste al desiderio di pavoneggiarsi: “L’assassino di Sharon Tate? Ce l’hai davanti”. Terrorizzata, la donna lo riferisce ai secondini, e Susan Atkins si trova in poche ore in una saletta per interrogatori. Dalla saletta all’aula del Gran Giury passerà poco tempo. Non vi sarà bisogno di far pressioni su di lei, giusto prometterle di non comminarle la pena di morte. Con un dolce sorriso, il 4 dicembre 1969 racconterà tutta la storia. Nel giro di poco tempo la maggior parte dei membri principali della setta finiscono nelle prigioni della Contea di Los Angeles. La maggior parte era ancora trattenuta nelle carceri della contea di Inyo, nel deserto. Traffico di auto rubate, carte di credito rubate, armi e droga sono ormai piccola cosa. Ora sono tutti indagati per omicidio plurimo Charles Manson, Charles Watson, Patricia Krenwinkel, Susan Atkins, Leslie van Houten. Watson, scampato per miracolo alla retata al Barker Ranch, é tornato in Texas, dopo qualche mese e avrà un processo tutto suo. Bruce Davis finirà sotto processo per l’omicidio di Donald “Shorty” Shea. Linda Kasabian riceve l’accusa di concorso in omicidio. Ma Linda, dopo la notte del massacro dei Labianca, trova il modo di fuggire, e non si trova.

Il legale di Leslie van Houten, Ronald Hughes, riteneva di aver buon gioco nel poeter togliere, da sopra la testa della sua patrocinata, la spada di Damocle della condanna a morte, anzi, di poterle far avere una sentenza minima se non addirittura un’assoluzione. La van Houten era meno coinvolta e se fosse riuscito a convincerla a testimoniare contro Manson, avrebbe goduto di una certa clemenza. Ma Manson ogni giorno istruiva le sue pupille sul da farsi, soprattutto sul non testimoniare mai di un suo, anche lontano, coinvolgimento nei massacri. E le ragazze erano tutte e tre pronte a sacrificarsi per lui.


Manson si incide una X sulla fronte. Il giorno dopo le tre principali imputate, Atkins, Krenwinkel e van Houten si presentano con una X sulla fronte ciascuna. Manson spiega alla stampa che loro sono le vittime della società, segnati con una croce dall’establishment come persone da ostracizzare, figli indegni d’amore da sempre. Quella X, dopo qualche giorno verrà trasformata in svastica.
Nota. Manson ha sempre avuto ammirazione per Hitler, un altro maligno pifferaio magico come lui, nonché un profondo disprezzo per le minoranze razziali. Curiosamente, s’infuriava se lo chiamavano “hippie”, dicendo che non lo era mai stato, provando disgusto per gli hippie e il movimento. I suoi inizi in San Francisco a High Ashbury furono solo perché era quello che facevano tutti l’anno della sua scarcerazione. Era un punto da cui iniziare. Ma non ha mai avuto interesse a partecipare a dimostrazioni contro la guerra in Viet Nam o a condividere le loro politiche o le loro banali filosofie a cui guardava con superiorità e scherno. Manson ha anche avuto rapporti di amicizia, dal carcere, con la setta di ultra-destra Arian Nation. Anche le gang di motociclisti, di solito con idee di destra e in perenne contrasto con gli hippies, avevano sempre avuto rapporti stretti con la setta di pseudo-hippies guidata da Manson.
Manson si rapa a zero. Le tre ragazze si rapano a zero, ma anche il picchetto delle altre adepte della setta, sempre presente in strada davanti al palazzo della Corte Superiore, si rapano completamente.



Manson si veste colorato. Le ragazze raggiungono l’aula con vestitini sgargianti, cantando felici e tenendosi per mano. Manson ogni singolo giorno incontra brevemente le ragazze, le istruisce sul comportamento da adottare per li giorno successivo. L’ordine raggiunge tutti, vicini e lontani.
Manson ripropone il vecchio gioco del giovane Charlie, l’insane game: espressioni che cambiano continuamente, boccacce, linguacce, occhi tristi, occhi satanici.
Prima di un periodo di riposo di una settimana del lungo processo, Manson aveva masticato il tentativo da parte di Hughes di riportare con i piedi sulla terra la van Houten. Ad un certo punto, Manson si alzò dalla sedia, puntò l’indice minaccioso contro Hughes e sentenziò con voce ferma:”Avvocato, non la voglio mai più rivedere in quest’aula”.
E Ronald Hughes non fu mai più rivisto.
Hughes decise di prendersi una vacanza in tenda sulle montagne della vicina contea di Ventura. Durante il camping il tempo si fece brutto, le piogge battenti, insistenti. Hughes decise che sarebbe rimasto comunque, e non sarebbe rientrato in città se non il giorno prima la ripresa delle udienze. Ma il giorno della ripresa del processo non si presentò, e le ricerche della polizia non portarono risultati. La minaccia di Manson continuava a rimbombare nelle orecchie degli altri avvocati, e del giudice. Fu nominato un altro avvocato, ma ormai Leslie van Houten si rifiutava di testimoniare contro Manson. E Susan Atkins, come aveva preannunciato Manson nelle interrogazioni fuori aula precedentemente citate, rinnega la sua confessione iniziale, eliminando qualsiasi correlazione tra Manson e gli omicidi.
Tuttavia non fu un membro della setta ad eliminare l’avvocato Hughes. Il suo punto di campeggio venne spazzato via dalle piogge, e finì affogato in un torrente. Coincidenze.
Il procuratore Bugliosi ormai dorme su una branda in tribunale.

E dorme sempre meno, perché Manson rischia di essere assolto. Non ci sono prove della sua presenza in nessuna delle scene del crimine. Tutti lo difendono, lui non é altro che il menestrello incompreso che ha raccolto per strada le anime incomprese come lui, dando loro un tetto, un giaciglio, e una filosofia di vita che qualcuno di loro ha distorto.
Si é molto vicini alla fine delle udienze e alle arringhe finali. Potrebbe finire con accuse minori a Manson e accuse maggiori alle tre ragazze. Ma succede qualcosa di inaspettato, un evento che un romanziere con un minimo di professionalità eviterebbe di infilare per evitare all’ultimo minuto un finale immorale, dove il cattivo se la ride.
Osservando da lontano, in TV, l’evolversi del processo, Linda Kasabian non resiste all’idea che quell’uomo possa farla franca, e si costituisce presso il più vicino posto di polizia. È il 13 agosto 1970.

Linda testimoniò per l’accusa. Parlò ininterrottamente per circa 18 giorni.
E dopo di lei venne l’arringa del procuratore Vincent Bugliosi: “Se Manson fu in grado di convincere i membri più devoti della setta che i Beatles, attraverso le canzoni del White Album – Piggies, Helter Skelter, eccetera – gli avessero rivelato l’avvento della guerra delle razze, pensate che non potesse essere anche in grado di convincerli ad andare a uccidere per lui?”
Il 25 gennaio 1971, dopo dieci giorni di discussioni, la giuria presentò un verdetto di colpevolezza per tutti i capi d’accusa per i quattro principali imputati.
Il 29 marzo, Manson e le tre ragazze, Atkins, Krenwinkel, van Houten, vennero condannati a morte. Esattamente quello stesso giorno, un pescatore che si era recato tra le montagne della Contea di Ventura, trovo dei resti umani incastrati tra due rocce che erano rimaste sott’acqua per mesi. Gli esami forensi testimoniarono senza ombra di dubbio che tali resti appartenevano al corpo dell’avvocato Roland Hughes. Quei resti furono esaminati più di una volta e non vi furono trovati segni di violenza.
Nel 1972 in California venne abolita (e presto ripristinata, e tutt’ora vigente) la pena di morte. Le sentenze di morte esistenti furono tutte commutate in ergastoli.
Tutti i membri della setta hanno fatto richiesta decine di volte per poter uscire di prigione sulla parola per buona condotta. A tutti é sempre stata negata la libertà. Susan Atkins, malata terminale di cancro fece richiesta di morire fuori dal carcere, richiesta che non venne accettata dall’allora governatore repubblicano Arnold Schwarzenegger. Si era sposata in carcere, come molti altri, tra cui Manson e Watson. Morì nel carcere femminile di Chowchilla il 24 settembre del 2009. Anche Charles Manson non é mai uscito dal carcere ed é morto il 19 novembre del 2017, a 87 anni. La richiesta di libertà gli venne rifiutata 12 volte, l’ultima volta dall’attuale governatore, Jerry Brown, un democratico “liberal”.
Patricia Krenwinkel

e Leslie van Houten sono tutt’ora in carcere, e hanno sempre mantenuto una condotta ineccepibile, occupandosi di cause benefiche dal carcere e migliorando la loro cultura. Tuttavia, ad ogni richiesta di uscita su parola in libertà vigilata, i parenti di Sharon Tate, di Sebring e dei Labianca si presentano puntualmente da decenni per boicottare la loro richiesta di libertà e finora hanno sempre avuto successo.

Charles “Tex” Watson é in carcere, si é sposato e si é convertito alla religione (Born Again Christian). Il suo fervore religioso pare abbia toni esagerati, come spesso capita ai “rinati cristiani” con un passato convulso e violento dimostrando di non essere in grado di reggersi senza il supporto di un’ideologia che dilaga nel fanatico.
Bobby Beausoleil é tutt’ora in carcere per l’omicidio del musicologo Gary Hinman. Bruce Davis é in carcere tutt’ora per l’assassinio di Donald “Shorty” Shea. Pare sia quello con maggiori possibilità di uscire su parola in futuro.
Lynette “Squeaky” Fromme, dopo essere stata coinvolta – senza esserne causa – in una brutta storia di omicidio (o forse morto per un gioco di roulette russa) che coinvolsero membri della Nazione Ariana, gruppo di ultra-destra con cui Manson aveva contatti in cella (anno 1972). Venne rilasciata. Nel 1975 si presentò in un parco della città di Sacramento (capitale della California), dove si trovava per una visita il Presidente Gerald Ford. Gli puntò una pistola contro e fu fermata immediatamente dal servizio di sicurezza. La pistola non aveva colpi in canna. Fu tuttavia processata e condannata all’ergastolo. È stata liberata sulla parola nel 2009. Sarebbe potuta uscire prima se non avesse tentato l’evasione. Di tutti i membri della setta, Lynette é l’unica che non ha mai smesso di essere devotamente legata a Manson come guida spirituale, e che non ha mai smesso di difenderlo. Si é anche sempre occupata del mantenimento del sito web, a carattere ambientalista-animalista, dedicato a Manson, l’ATWA (Air-Trees-Water-Animals o Aria Alberi, Acqua e Animali).
Linda Kasabian ricevette l’immunità per la sua testimonianza. Ebbe un problema di dipendenza da droga che fu in grado di controllare con il tempo. A parte un’intervista con il giornalista Larry King, ha sempre mantenuto un profilo basso, occupandosi della sua famiglia.
È sempre stato commentato che Manson con la sua setta abbia rappresentato la fine, degenerata in orrore, della stagione hippy, della rivolta sessantottina. Ma Manson e i suoi rappresentano un problema storico di degenerazione dell’esperienza umana di grandezza ben più ampia. Vestiti da hippie, con capelli lunghi, barbe e chitarre, con le ragazze che vestivano ghirlande di fiori intorno ai capelli, con sorrisi ammiccanti, girando con pulmini volkswagen multicolore, non erano hippies e non appartenevano a quel contesto storico particolare. Si limitavano a seguire una moda esteriore.
Vi erano essenzialmente due tipi di persone che Manson raccattava: ragazzi e ragazze con particolari difficoltà emotive, sbandati, incapaci di gestire la loro esistenza nella post-adolescenza. Venivano quasi tutti (probabilmente tutti) da famiglie con gravi problemi, da ricevevano poco o nessun aiuto, talora letteralmente ignorati come fossero stati inesistenti. E poi vi erano coloro in cui Manson riconosceva un suo simile, cioé una persona incapace di provare empatia, di stabilire un rapporto con altre persone che non fosse parassitico e utilitaristico. Se é vero che vi é un certo livello di sfruttamento emotivo con cui ognuno di noi si rapporta con gli altri, su una scala da uno a dieci, colui che é affetto da un disturbo psicopatico della personalità rimane inchiodato intorno al dieci.
Occorre però sottolineare nuovamente che nessuno é immune al rischio. Oggi sappiamo come sia facile cadere in realtà rimaneggiate e contraffatte attraverso la propagazione di notizie non vere (fake news) che favoriscono la costruzione di teorie cospirative. Ed é ancora più facile cadere nelle mani di false guide, non importa l’età, il livello di scolarità, il quoziente d’intelligenza, la tendenza alla praticità e concretezza, anche se le menti più plasmabili (ad esempio, gli adolescenti) rimarranno il bersaglio preferito dei maestri della manipolazione.
La persona affetta da psicopatia impara ad essere un totale camaleonte. Conoscendo le necessità umane per livello di importanza, diciamo tipo la scala piramidale suggerita dallo psicologo Abraham Maslow, dal minimo indispensabile, la sicurezza personale, cibo, acqua e un tetto sulla testa, al successo e al riconoscimento del proprio valore, lo psicopatico promette, adeguandosi a ciascun caso, e si comporta di conseguenza.
E si presenterà ogni volta con il costume adatto. Al moralista si presenterà moralista, all’idealista apparirà un fratello di ideali. Al gruppo, piccolo o grande, parrà essere colui che, pur dividendo gli stessi problemi, dimostra di avere maggior volontà, che quasi sempre viene fraintesa come chiarezza di idee. Mescolando fatti reali e inconfutabili alle falsità “pro domo sua”, lo psicopatico sarà in grado di rendere credibili i suoi discorsi, in modo che altri lavorino per la sue necessità e le sue ambizioni. Egli si nutre di potere sugli altri, e che si chiami Manson o Hitler o Miscavige (il capo supremo e amministratore della “Chiesa” di Scientology), costruisce una sorta di schema a piramide dove l’unico prodotto che si distribuisce a chi sta sotto é, appunto, la sottomissione a chi sta sopra. Questa é una necessita fondamentale per lo psicopatico. Da un punto di vista comportamentale, dove un’azione viene rinforzata da una ricompensa adeguata, il potere sugli altri e la loro sottomissione sono il motore ma anche il vero traguardo, poiché solo attraverso tale passaggio possono raggiungere il piacere. Creando un ambiente in cui questa é la materia prima di scambio, non importa quanto sia grande l’inganno e la frode – e, talora, evidente in maniera sconcertante in retrospettiva storica – lo psicopatico riuscirà a far scaturire il peggio, il Mister Hyde che ognuno di noi ha imparato a controllare.
La setta non deve essere vista come un luogo remoto di fanatici incappucciati che si dedicano a sacrifici umani, o cellule di terroristi che meditano attentati sempre più sanguinari. Un ufficio può presentare molti dei colori tipici di una setta, se il capufficio è affetto da psicopatia. O una parrocchia, una clinica privata, una scuola, un centro benessere.
Una volta nominato amministratore delegato del gigante energetico Enron, Jeffrey Skilling, oltre a vendere opzioni su fonti di energia che la compagnia non possedeva affatto, aveva fatto cambiare la politica interna aziendale. Tutti gli impiegati dovevano sottostare una volta al mese a controlli di produttività e di fedeltà all’azienda e alle sue regole, che divenivano sempre più stringenti, specie riguardo alla segretezza, con pene che andavano dalla mobbizzazione, alla diminuzione dello stipendio, alla degradazione a mansioni inferiori, alle minacce dirette.
Naturalmente é estremamente raro che si giunga al fondo di abissi come i massacri dell’Helter Skelter.
Rimane oggetto di discussione l’origine di tale disturbo del comportamento. Il piccolo “Senza Nome” Maddox aveva già delle alterazioni in certe aree cerebrali alla nascita? Le tremende esperienze giovanili hanno creato il criminale Charles Manson? Un misto di natura e di ambiente, come si attribuisce a tanti disturbi del comportamento e dell’apprendimento?
Ovviamente rimane anche aperto l’effetto delle varie droghe sui cervelli dei singoli. È noto che un farmaco neurolettico, un anti depressivo, un ansiolitico determinano risposte leggermente o talora molto differenti sul nostro comportamento. Le droghe di strada possiedono gli stessi rischi, ma enormemente amplificati come spettro di effetti e ampie variazioni di intesità. Una mente con “striature psicopatiche” tra i colori della sua personalità, può trasformarsi in un furioso omicida ingerendo psicostimolanti?
Nota. Nel caso degli assassini mandati da Manson, il fatto che si siano stimolati con cocktail stimolanti tipo lo “speed”, al fine di trovare la forza di compiere azioni così efferate che altrimenti sarebbero state non facili e fluide in quanto sottoposte a freni inibitori, dovrebbe essere considerata come circostanza aggravante. Tex Watson sottolineò il suo stato di alterazione [“Non ero più io”] durante un’intervista in carcere, con l’intenzione di prendere le distanze tra lui e il mostro che aveva ucciso Steven Parent e poi Jay Sebring, rispondendo alla sua domanda “chi sei?” con lo psicotico “Sono il diavolo e sono qui per fare il lavoro del diavolo”. Tale tentativo di riaggiustare l’immagine di sé e della sua personalità non ottenne effetti ai fini di diminuirgli la pena detentiva.
A quanti di noi é capitato di pensare: certo che se da giovane non avessi avuto quell’aiuto, quel modello, quegli affetti, quel supporto al momento giusto, forse anch’io avrei preso una brutta strada. Nello stesso tempo, esistono infiniti esempi di persone con un’infanzia tremenda e una giovinezza sregolata che non hanno sentito, o hanno controllato effettivamente il bisogno di vendetta e prevaricazione.
Manson é stato rilasciato molte volte e l’ultima volta che fu messo fuori prigione, addirittura chiese di rimanere incarcerato. È molto difficile riconoscere uno psicopatico da una persona normale. Egli può convincere fior di esperti di essere totalmente cambiato e riabilitato, specie dopo anni di reclusione. Distinguerlo dal compagno di reclusione che é effettivamente cambiato é impresa non facile, poiché gli esaminatori sono persone dotate spesso di sensibilità, empatia e desiderio di restituire il detenuto alla società civile. E’un successo della società, é una dimostrazione che il sistema talora funziona. Ma talora, solo un’illusione.
(Sopra: la mimica di Manson, il suo “insane game”)
Ringraziamenti:
Un particolare grazie va alla dottoressa Elena Modesta Rossi, criminologa, per la revisione della prima stesura di questo saggio e per i suoi suggerimenti che mi hanno permesso di correggere locuzioni ed espressioni più americane che italiane.